Cronaca del viaggio esterno. Day 9. Yerevan – Bastogne – Yerevan. Imprevisti, gavettoni e Ararat

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Esatto, siamo ancora a Yerevan, ma cosa e’ successo? Non dovevamo essere alla frontiera con l’Iran?

Provo a lanciare un instant poll tra i miei amici.

  1. Raffaele ha conosciuto un’avvenente armena (sono molto carine in effetti) ed ha deciso di prolungare il soggiorno a Yerevan a tempo indeterminato.
  2. La Gengis Khar ha avuto problemi.
  3. Un gruppo di alieni ha creato un profondissimo cratere dove prima c’era una strada, impedendo il passaggio verso l’Iran

Un po’ di spazio per votare

Se conosco bene i miei amici la stragrande maggioranza, conoscendo le mie notorie doti di seduttore, ha votato per i problemi a Gengis e un paio hanno ritenuto comunque più plausibile quella degli alieni che quella dell’armena (begli amici). Come nei giornaletti di enigmistica, la soluzione alla fine del post di oggi.

Partiamo di mattina per poter arrivare con calma ad Agarak, l’ultimo villaggio prima dell’Iran. Con calma, il tragitto e’ di otto ore. Ci sarà tempo di fermarci a fare foto e persino, per una volta, per non saltare il pranzo mentre siamo in viaggio.

Prima andiamo in piazza a prendere un caffè e a ricaricare la scheda dati armena. Con cautela pero’, perché Tigran ci ha avvisati il giorno prima di quello che sta per succedere. Appena arrivati in piazza vediamo ragazzini armati di secchi d’acqua e bottiglia. Si avvicinano a due passanti e gli rovesciano l’acqua addosso, a profusione.

E’ una tradizione locale, il Vardavar, festa di origini pagane in cui, appunto, ci si prende a secchiate d’acqua addosso.

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Queste ultime foto (tranne il cartello dell’albergo) sono prese dal mio viaggio successivo in Armenia (un anno dopo il blog) quando siamo tornati apposta per il Vardavar. Nell’anno del blog ho preso solo le prime due da lontano: per arrivare con calma siamo partiti prima che la festa entrasse nel clou e, in più, non volevo avvicinarmi troppo con la macchina fotografica. Infatti i ragazzini non fanno e’ distinzioni ne’ prigionieri. Davanti ai miei occhi vedo una ragazza, vestita con i colori di beeline, fornitore locale di servizi di telefonia, chiaramente intenta a recarsi al lavoro nel vicino negozio beeline, nell’atto di essere sommersa senza pietà da ettolitri d’acqua. Prima cerca di rimproverare i ragazzini poi, con rassegnazione, entra nel negozio. La tradizione e’ tradizione. Sono le nove e mezza del mattino e fanno 35 gradi. Capisco molto bene il senso della festa e l’anno prossimo voglio tornare e parteciparci.

Il clou della festa e’ più avanti nella giornata, nelle ore più calde. Quando arriviamo in piazza  e’ ancora presto e davanti a noi troviamo solo pochi ragazzini intenti a riempire i secchi, uno di loro ben preparato con l’impermeabile. Poi le scene che ho descritto.

Dopo questo assaggio di Vardavar, ci avviamo verso la frontiera iraniana. Prima facciamo rifornimento in una sgangherata stazione di servizio di periferia i cui gestori sembrano simpatici. Il primo tratto e’ in un piano, con una strada a doppia corsia in buone condizioni. All’improvviso, pero’, alla nostra destra, maestoso si staglia l’Ararat, il monte sacro degli armeni, benché oggi in territorio turco. Richiamo l’attenzione di Francesco presentando la montagna con le prime parole che mi vengono in mente: “Amici, Arararat”. Francesco mi guarda peggio che mai, ma per fortuna dietro di me ho l’Ararat che intercetta il suo sguardo.

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Ok, disclaimer. La foto e’ palesemente ritoccata e anche male. Purtroppo la foschia agostana rendeva visibili solo i contorni e, in parte, la cima innevata. Ma lo spettacolo resta molto bello.

Proseguiamo su strade di campagna frequentate da noi e pochi altri. Ogni tanto attraversiamo qualche paesino nel quale i ragazzini, in assenza di altre persone da bombardare d’acqua, prendono a secchiate le macchine in transito. Chiedo a Francesco: “come mai stai andando cosi’ piano in quarta?” e lui, “vero va un po’ piano”.

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A un tratto Francesco esclama: – “Fefe’, ma sai che cazzo e’ sta spia?”. – “Non lo so, sembra una roba tipo il filtro o il catalizzatore, boh”. Siamo su una serie di tornanti che si inerpicano sulle delle montagne che conducono a una valle arida, ancora una volta da film western. Mandiamo un messaggio al nostro fidato meccanico Sandrokan in Italia: “may day, may day, siamo a circa 3000 piedi, il motore ha perso potenza”.

In effetti il motore ha proprio perso potenza. Il carburante non sembra passare e siamo costretti ad arrampicarci sulla montagna in prima a circa 25 km/h, superati agevolmente anche da un camion e una vecchia Lada sgangherata. Alla fine della salita, all’ingresso del paesino di Zangakatun, vediamo un piccolo capanno con un cartello, scritto a mano, “vulcanizzazioni, meccanico”.

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In questi paesini l’inglese va meno di moda e ci sarà da praticare il nostro russo rudimentale. Il meccanico, un signore armeno baffuto di mezza eta’, ci chiede una sigaretta. Partev Agannisyan e’ il suo nome. Osserva il pacchetto, italiano, con curiosità e ci chiede: “ma di dove siete”? – “Italia”. – “Uhm, ok” dice sorridendo e alzando le spalle prima di aprire il motore e cercare di capire il problema. Ipotizza “катализатор”, il catalizzatore. Poi propone come alternativa, che forse ” грязный бензин” (benzina sporca), “Надо изменить фильтр” (bisogna cambiare il filtro), anche se il catalizzatore sembra convincerlo di più. Lo insospettisce pero’ il fatto che sia successo subito dopo il pieno di benzina.

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Preoccupati dalla possibilita’ che il carburante sporco possa aver danneggiato il motore, imprecando contro i gestori che ce l’hanno venduto e che sembravano pure simpatici, chiediamo lumi. – “только фильтр” (solo il filtro) ci risponde. Rassicurati gli chiediamo di cambiarlo. Ci dice che non ha il pezzo di ricambio. Gli chiediamo dove comprarlo. Ci dice che a Vajk, un paese a 30 km, c’e’ un suo amico, Arman, che forse ci può aiutare. Poi con un gessetto disegna sul terreno una mappa rudimentale per spiegarci che Arman si trova dopo un supermercato e un benzinaio appena prima di lasciare Vajk. Eccitato dalla possibilità di riparare Gengis, esclamo, se Arman ci risolve il problema, prometto di tributargli il più grande onore per un napoletano: lo chiamerò “Diego Arman”. Francesco e’ troppo preoccupato per guardarmi male.

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Ne ha ben donde. Siamo di fronte a un bell’enigma. Il mio visto dell’Iran scade domani (o forse martedì, lo scopriremo solo in serata quando ci scrivera’ Hossein, il nostro uomo alla frontiera iraniana). Bisogna entrare in Iran ad ogni costo. L’alternativa e’ tornare indietro, risalire la Georgia, attraversare la Calmucchia e tramite Russia e Kazakhstan raggiungere la Mongolia. Ma il visto di Francesco ha solo due entrate e per fare questo tragitto ne servono tre. Raggiungiamo il paesino di Agarakadzor dove sulla sinistra vediamo un altro meccanico. Ci fa parcheggiare la macchina nell’officina e un ragazzino sui 17 anni inizia ad armeggiare con il filtro e a dare di gas. La diagnosi e’ la stessa. “Filtro”, va cambiato. E la condanna e’ la stessa. Oggi e’ domenica, il negozio e’ chiuso, non ho il filtro. Provate a Vajk. I nomi improbabili dei villaggi che ci circondano (Zangakatun, Agarakadzor, Yeghegnkadzor, Landjianist) aumentano la sensazione di smarrimento. Dove cacchio siamo? E se Gengis ci lasciasse qui?

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Andiamo, con grande difficolta’, a Vajk. Per raggiungerla ci sono altre colline, e Gengis annaspa salendo a piccoli strappi. come un ciclista in difficoltà in una tappa montana. Ce la farà a superare questa salita?

Ce la fa. Nel frattempo, arriva un messaggio da Sandrokan: “non e’ il filtro. E’ il catalizzatore. Dovete solo farla andare per 40 km circa in sesta tra i 90 e i 110 e andrà in autodiagnosi liberando il catalizzatore”. Come la prima diagnosi di Partev. Purtroppo, pero’, siamo in strette strade di campagna, con tornanti e camion.  Mantenere quella velocità’ sembra improponibile.

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Siamo di fronte al bivio: continuare lentissimamente verso l’Iran, salendo le montagne a 25 Km/h col rischio di rimanere intrappolati in una valle nel mezzo del nulla, o tornare a Yerevan a cercare un meccanico? Se Sandrokan ha ragione, appena raggiunta una pianura sufficientemente lunga dovremmo risolvere il problema. Ma lui e’ in Italia, non ha visto la macchina , e potrebbe sbagliare. Due righe di spazio vuoto per permettervi di indovinare se avevano ragione Sandrokan e Partev o il secondo meccanico armeno.

Se torniamo a Yerevan, calcolando il tempo necessario per trovare un meccanico (Tigran ne conosce uno), sistemare la macchina e ripartire, potrebbe essere troppo tardi per ritornare in tempo alla frontiera dell’Iran. Guardiamo la mappa. La strada verso l’Iran e’ piena di montagne e tornanti, molti di più di quelli su cui Gengis sta annaspando con la bandiera bianca pronta ad essere spiegata. Io sono per proseguire comunque, ma non ho ancora guidato Gengis in queste condizioni. Francesco invita alla prudenza e a tornare verso Yerevan. Per convincermi, mi invita a guidare Gengis. Mi convinco che Francesco ha ragione: la macchina in salita e’ un vecchietto asmatico ed effettivamente provare l’ “all in” fino in Iran potrebbe essere un rischio troppo grande. Decidiamo quindi di tornare verso Yerevan e verso un meccanico. Ecco, come direbbero nelle pagine “acchiappaclick” delle versioni online dei quotidiani, ecco un video che “documenta dal vivo quei drammatici momenti”.

Nel tornare verso Yerevan, pero’, noto che la macchina sta recuperando un minimo di potenza e decido di rischiare un altro tipo di azzardo. Inizio a correre a 90/100 all’ora, in discesa, sui tornanti della strada che porta a Yerevan, provando a scansare buche per non distruggere le sospensioni. Non riesco, ovviamente, a fare 40 km, ma ne faccio un bel po’ tra qualche salto di Gengis e qualche curva da vuoto allo stomaco. Adesso possiamo davvero chiamarlo “Rally”.

L’azzardo paga. Sulla curva della strada verso Khor Virap, antichissimo monastero con vista sull’Ararat che decidiamo di visitare per non buttare la giornata, Gengis sembra essersi ripresa.

Faccio provare anche a Francesco. Concorda. Gengis e’ tornata. Torniamo a Yerevan e decidiamo di riposare in un Hotel di lusso dopo aver scansato le ultime secchiate che aumentano il rimpianto. A saperlo saremmo rimasti in città a prenderci a secchiate anche noi. Beh, poco male, si torna l’anno prossimo.

Mentre entro nella hall mi arriva un messaggio: “scusate il ritardo nelle risposte, ero ad una gara. Non vi preoccupate, Sandrokan veglia su di voi”. Con la sua benedizione, e quella di Partev, domani ci rimetteremo sulla stessa strada. Seguiteci per sapere se saremo arrivati in Iran.