Salutiamo i simpatici turisti israeliani a cui ho fatto da interprete la sera prima in albergo. Uno di loro gestisce un agriturismo che mi ha invitato a visitare e Israele e’ nella lista delle mie prossime destinazioni. Le loro idee politiche erano apparse chiare quando una di loro aveva detto, leggendo il telefonino, qualcosa in ebraico, la cui unica parola comprensibile era Neytanyhau . Scatta un boato. E la notizia della sua iscrizione tra gli indagati per corruzione. Ci mettiamo in marcia verso la capitale, Bishkek.
Il portiere dell’albergo (a quanto pare di proprietà italiana) ci ha detto che a seconda di quanto corriamo ci potranno volere tra le otto e le dodici ore. Ne calcoliamo dieci e partiamo verso le otto per evitare di arrivare di notte. Anche qui le strade non sembrano in ottime condizioni e preferiamo guidare con la luce del sole.
Dopo una cinquantina di chilometri di altra Toscana orientale, si imbocca la strada che porta sulle montagne. E sono montagne molto imponenti, la parte finale dell’Himalaya anche se, nella zona in cui passeremo noi, non superano i 4800. Per cercare picchi oltre i 7000 bisogna andare verso il sud-est del paese che, purtroppo, non abbiamo tempo di visitare.
Ma il paesaggio che si presenta davanti non fa rimpiangere la mancata deviazione. Superato uno strettissimo canyon, la strada inizia a costeggiare un fiume dall’acqua di un forte colore turchese. Cioè, almeno secondo me turchese, per l’esatta definizione delle sfumature cromatiche ci servirebbe una consulenza femminile.
MI distraggo a guardare il fiume e a pensare come fotografarlo e se chiedere subito il cambio alla guida a Francesco. Avendo come al solito i minuti contati, le foto dovranno essere fatte dalla macchina in movimento, perdendo ahimè tantissimo. Una sola foto verra’ fatta da fermo. Eccola.
C’e’ un motivo: nel distrarmi a guardare il fiume non ho tenuto d’occhio il limite di velocità all’ingresso di un centro abitato. Immancabile in questi paesi la polizia appostata dietro una curva, che ci appioppa una multa (per fortuna ragionevole rispetto al suo collega Turkmeno). Fermo per fermo, scatto la foto e si riparte.
Salendo sulla montagna a un certo punto si attraversa un tunnel. Chiudo un occhio prima di entrare per farlo abituare alla minore quantità di luce e lo riapro una volta entrato. Serve a poco. Il tunnel non e’ per niente illuminato, nemmeno catarifrangenti. E’ talmente scuro che nemmeno con gli abbaglianti si riesce a vedere qualcosa. Rallento fino ad andare quasi a passo d’uomo. Faccio bene. Di fronte a me una a destra e una a sinistra. Due sagome. Incrocio da ambo i lati due bambini che, ciascuno a cavalcioni del suo asino, stanno follemente attraversando il tunnel in senso contrario.
Si sale fino a 3150 metri, poi si riaccende a 2500 circa dove ci troviamo di fronte un paesaggio meraviglioso, che non rende abbastanza in foto, specialmente, con foto scattate mentre la macchina sfreccia. Da entrambi i lati, immensi pascoli, yurte, cavalli e, sullo sfondo, cime innevate.
Lo spettacolo va avanti per diversi chilometri e non ci stanchiamo di guardarlo. La temperatura intanto e’ scesa a tre gradi, un bel salto dai 48 dell’Iran e de Turkmenistan.
Poi c’e’ da salire un altro passo, che si inerpica fino a quasi 4000 metri con una vista mozzafiato sulla valle/altopiano.
In mezzo un’altro tunnel, strettissimo e scuro quasi quanto il primo. Ma molto più lungo. Nell’attraversarlo si prova una sensazione di soffocamento e grande e’ il sollievo quando si intravede la famosa “luce in fondo al tunnel”.
In tutto il percorso incrociamo cimiteri che in Kirghizistan (poi scopriremo anche in Kazakhstan) sono composti da tombe racchiuse in delle specie di gabbie di ferro. Ci divertiamo a pensare ipotesi serie e meno serie su questa particolare struttura: per esempio, magari, un tempo i morti si seppellivano non necessariamente raggruppati in un cimitero, ma all’aperto nella natura e la gabbia serviva a “proteggere” la tomba da uomini e animali. Contro la teoria il fatto che le abbiamo viste, appunto, tutte vicine in cimiteri. Altra teoria: vista l’alta frequenza di enormi sassi sulla strada, le frane sembrano essere piuttosto frequenti. La gabbia potrebbe essere un’altra forma di protezione della tomba, considerando anche l’inverno e i suoi due metri di neve.
La teoria che troviamo più plausibile pero’ e’ che le gabbie non siano per proteggere i morti, ma per proteggere i vivi nel caso in cui i defunti diventino zombie e cerchino di uscire dalla tomba, per intrappolarli.
Anche a causa del forte traffico all’ingresso e della presenza di “ostacoli sulla carreggiata”, arriviamo a Bishkek tardino, quasi verso le nove. Ma ne e’ valsa la pena. Abbiamo visto i paesaggi più belli del viaggio. E lo spettacolo sul passo e’ tra i più belli che ho mai visto. Considerata anche la gentilezza dei locali il Kirghizistan e’ senz’altro un paese da visitare di nuovo con maggiore calma.
Lo lasciamo con dispiacere per dirigerci verso il più pianeggiante paesaggio del Kazakhstan orientale. Prima, pero’, un a tappa ad Almaty, la vecchia capitale del paese, per un po’ di riposo. Ma questo e’ gia’ materiale per il prossimo post.