Raccolta un po’ di provviste da Maria-Ra, supermercato aperto 7/24 e onnipresente (almeno in questa zona della Russia), ci prepariamo all’ultimo, lungo tratto che ci separa dalla Mongolia. Si attraversano di nuovo
e montagne di straordinaria bellezza, che non riesco a fotografare perché è il mio turno di guida. Le fotografo con gli occhi che, almeno loro, non sbagliano le regolazioni.
Prima, però, dobbiamo risolvere un problema. Ci siamo accorti che, per la frontiera con la Mongolia andava stampato un documento per poter importare la macchina. Avendo già lasciato l’albergo, non sappiamo dove stamparla. Cerchiamo su google maps copisterie/stamperie a Biysk, la prima città sul nostro cammino.
Google ce ne trova una in Ohio. Dobbiamo elaborare una strategia. Ne partoriamo tre diverse. Quella semplice: cercare un albergo e chiedere se ce lo stampa. Quella inutilmente elaborata: entrare in un negozio beeline, la società di telefonia mobile che ci ha seguito e forniti in quasi tutti i paesi ex sovietici e fingere che qualcosa non va nella scheda acquistata a Barnaul, complimentarsi con loro per aver risolto il problema (inesistente) e chiedere la cortesia di stampare il nostro documento. La terza è una variante della seconda, presentarsi da beeline dicendo che siamo clienti e provare a chiedere un favore.
Il destino ci suggerisce la via da scegliere: appena entrati a Biysk troviamo un negozio beeline alla nostra destra. Concordiamo che il finto guasto è troppo patetico e proviamo la strada del cliente.
– hello, do you speak English?
Chiedo a un ragazzo il cui nome non ricordo e alla bellissima Elena.
– niet, rispondono come a chiedere scusa.
Provo a spiegarmi in russo e, in italiano, il dialogo suona più o meno così
– buongiorno, io so’ cliente. Ecco, abbiamo un problema, ci serve un documento per la frontiera mongola e lo abbiamo dimenticato all’hotel a Barnaul, dico lo sguardo fisso su Elena
– Si?, dice Igor (facciamo che si chiama così)
– (Il mio sguardo non si riesce a staccare da Elena) Ecco, allora, io so’ cliente, eh, volevo chiedere, Ivan, se te lo mando via telefonino, me lo puoi stampare?
– Io mi chiamo Igor (credo). Fammi vedere il documento.
Lui guarda il documento e io continuo a guardare Elena
– il telefonino è in italiano, mi imposti tu l’invio della mail?
– Certo, io so’ cliente, faccio subito. Grazie Sergei, sei gentilissimo, dico con un occhio al telefonino e l’altro a Elena, che sembro Marotta il dirigente della Juve
– Igor, dice lui (credo)
– Igor. Grazie. Io so’ cliente
– Ci vorrà qualche minuto, mi dice
– Ok, intanto guardo un po’ in giro, io so’ cliente, dico
– Ok, dice lui con l’aria di chi vuole dire, si guarda in giro che è meglio
Dopo dieci minuti ancora non ha stampato e io ho finito di guardare tutto quello che vendono, quindi riprendo a guardare Elena. Poi per parlare di qualcosa, mi rivolgo a Igor (credo) e gli faccio vedere la collezione di vecchie schede beeline: questa è l’Armenia, questo è il Kazakhstan, io so’ cliente.
Igor (credo) è gentilissimo e si affanna per risolvere il problema, ma per qualche motivo non riesce a stampare. Lo ringrazio ed esco dal negozio. Mi dice di provare dal negozio Tele2 (altro operatore) affianco. E io gli dico: ma come? io so’ cliente
Francesco mi chiede come è andata e il sto per rispondere solo “Elena”, ma riesco a riprendere la bussola e dire: ci tocca cercare l’albergo.
All’albergo la gentile direttrice mi lascia usare il suo computer e in cinque minuti risolvo il problema della stampa.
Possiamo ripartire verso la frontiera. La prima parte del percorso è un paradiso dei campeggiatori ed è molto frequentata dai locali. Ma mano il paesaggio si fa meno urbanizzato e i pochi volti che incontriamo tornano ad essere orientali, finché a un centinaio di km dalla frontiera, davanti a noi le prime vette innevate (beh le seconde dopo il Kirghizistan, ma qui c’è molta più neve).
Il termometro della macchina inizia a segnare 7 gradi e siamo certi che: a) meglio non dormire in macchina; b) non ci serve un albergo con l’aria condizionata.
La cosa non è un problema perché nel paese dove ci fermiamo (Kosh-Agasch, che per semplificare chiamiamo Fort Apache o Caran D’ache) ci sono solo piccole guest house affollatissime di Mongoli di ritorno a casa che domani passeranno la frontiera con noi.
Mangiata un’ottima zuppa in un caffè che ricorda un rifugio di montagna sudtirolese andiamo a dormire nella nostra stanza dai colori sgargianti e bizzarri.
Domani finalmente Mongolia!
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